di Greta Valente
Con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente nel 476 d.C., che molti storici usano come data puramente convenzionale per l’inizio dell’Alto Medioevo, la situazione geopolitica dei due imperi cambia radicalmente. Ad Oriente, dove l’Impero Romano d’Oriente riunisce in se zone che attualmente sono identificabili come la Grecia, l’Egitto, i Balcani, l’Albania, la Turchia e la Macedonia, si continua ad avere un centro di potere ben definito nella capitale Costantinopoli e nella figura dell’Imperatore.
L’ormai decaduto Impero Romano d’Occidente invece si disgrega in vari centri di potere.
Tutte le diverse popolazioni che lentamente si erano insediate nei territori dell’impero hanno un loro re, il che genera un marcata frammentazione del potere oltre che ad una competizione tra i vari capi clan. Il potere di questi re spesso è effimero ed instabile, quindi, al fine di radicarsi meglio sul territorio, fanno affidamento sulla forza gerarchica delle chiese locali, che diventano così strumento politico e giuridico dei sovrani.
D’altronde lo stesso Vescovo di Roma, che ambisce ad avere il primato sugli altri patriarcati, trae vantaggio da questa alleanza: fornendo ai capi militari la legittimazione a cui ambiscono egli si crea degli alleati armati in grado di tenere testa all’Imperatore d’Oriente e di supportare la sua causa.
Questo è un graduale processo, iniziato tra il V ed VI secolo, che raggiungerà l’apice con l’incoronazione di Carlo Magno nella notte di Natale del 800 d.C. ad opera di Leone III.
La cerimonia è in diretta competizione con l’Oriente poiché in quel a Costantinopoli regna l’Imperatrice Irene; è una donna, quindi Carlo Magno considera il trono come vacante e reputa perfettamente legittima la sua consacrazione a Imperatore del Sacro Romano Impero d’Occidente: un impero romano rinato sotto l’egida di un re cristiano consacrato e incoronato dal Vescovo di Roma. In seguito, con la morte di Irene e l’ascesa di un nuovo Imperatore d’Oriente si giungerà ad una situazione di reciproco riconoscimento.
Tuttavia la storia del rapporto tra Oriente ed Occidente non è solo una storia di conflitto e contrapposizione, anzi: gli scambi e le influenza reciproche non sono mancate.
Innanzitutto, la cosa che più caratterizzava l’Imperatore d’Oriente agli occhi di un sovrano occidentale era la solennità e sacralità che circondava la sua figura e la sua persona fisica: egli era il capo delle chiese d’Oriente e si poteva considerare quasi in diretto contatto con la divinità.
I sovrani occidentali ambiscono a possedere la stessa aurea di sacralità, ma la competizione spesso è frustrata. In Occidente un re viene legittimamente consacrato attraverso l’intercessione di una figura ecclesiastica, il vescovo prima ed il pontefice poi, che fa da ponte tra Dio ed il sovrano. Ciò non toglie che, con il progressivo rafforzamento del potere dei sovrani territoriali, si tenterà di ritagliare spazi di autonomia dalle gerarchie ecclesiastiche, ad esempio revocando per sé il diritto delle nomine vescovili.
In ogni caso, analizzando le auto rappresentazioni del potere consacrato si puo’ notare come con il passare del tempo si siano progressivamente assorbiti ad Occidente modelli e temi delle immagini orientali. La presenza bizantina in Italia ha di certo contribuito, sebbene dopo l’avanzata dei longobardi nel VI secolo i suoi territori erano ridimensionati: nel cosiddetto “Esarcato di Ravenna” erano compresi il meridione, le isole ed una striscia di territorio che andava da Ravenna a Roma. Progressivamente la presenza bizantina si farà sempre più esigua, ma, soprattutto al Sud, a resistere allo scorrere del tempo sarà proprio la loro arte.
Nell’arte bizantina prevale un certo eclettismo: da un lato vengono conservate le conquiste nel campo del naturalismo e della corretta rappresentazione del corpo compiute dall’arte classica, usate principalmente per soggetti profani, mentre dall’altro è presente una forte tendenza all’astrazione, a trasformare le immagini in simboli. Questa seconda tendenza è particolarmente rintracciabile nei soggetti religiosi o comunque in rappresentazioni che andranno ad ornare gli spazi sacri e raggiungerà la sua massima espressione nelle icone sacre.
In alcuni casi queste due tendenza tendono a convergere, ed uno di questi casi è il prototipo dell’arte bizantina in Italia: i mosaici della basilica di San Vitale a Ravenna. [immagine: 1a – 1b]
La basilica viene costruita tra il 540 ed il 548 e consacrata nello stesso anno dall’arcivescovo Massimiano. Nell’abside della basilica sono collocati i due pannelli, il cui progetto venne realizzato a Costantinopoli, raffiguranti Giustiano e Teodora, con i loro rispettivi seguiti, come partecipanti alla liturgia eucaristica, infatti Giustiniano offre il pane e Teodora il vino, atto che in Occidente è riservato al clero.
Il mosaico è concepito in funzione dello spazio architettonico in cui è inserito, ed in questo caso l’uso dell’oro lo rende ancora più luminoso ed ampio di quanto non sia in realtà.
L’oro, ampiamente usato nell’arte bizantina, serve anche a rendere l’idea dello sfarzo della corte imperiale e contribuisce a creare un’atmosfera che gli storici dell’arte definiscono “ieratica”: sacra e solenne.
Nei mosaici in genere prevale l’astrazione, infatti le figure, per quanto caratterizzate da una brillante policromia, sono piatte come nelle icone, atte a raffigurare simbolicamente il rango ed il potere dei soggetti rappresentati. Ma vi è un’eccezione: i volti degli imperatori e di Massimiano sono dei veri e propri ritratti, un’ulteriore elemento di distinzione gerarchica rispetto alle altre figure presenti, che hanno lineamenti ripetuti e fortemente astratti.
Al di fuori del contesto religioso la tendenza naturalistica trovava più spazio per esprimersi.
Ad esempio nel cosiddetto “Avorio Barberini” o “Dittico Barberini”: una tavoletta in avorio di anonimo autore con incisioni in basso ed alto rilievo che rappresentano l’imperatore, Anastasio I o più probabilmente Giustiniano I, trionfante.
L’arte classica forniva un vasto assortimento di statue in varie posizioni che diventavano dei modelli da adattare alla situazione contingente, malgrado il senso dell’equilibrio e dell’armonia tra le parti e tra le parti ed il tutto si sia un po’ perso. In questo caso il collegamento con il mondo classico è evidente anche dal punto di vista iconografico: la Vittoria appare sia a destra dell’imperatore sia in forma di statue nelle mani dell’alto ufficiale nel pannello a sinistra, mentre la donna con il seno scoperto ed i frutti nel grembo rappresenta la fertilità. Tipicamente imperiale è anche la sfilata dei nemici vinti, incisa nella formella più in basso. L’apparato iconografico si rifà alla Roma imperiale, ma l’impero ora è cristiano, ed a riprova di ciò viene inserita sopra a tutte le altre l’immagine di Cristo che con una mano benedice e con l’altra sorregge la croce, il tutto sorretto da due angeli.
L’imperatore resta comunque il protagonista della scena, infatti non a caso è l’unica figura in alto rilievo del dittico, inoltre le altre figura sono volutamente rimpicciolite per sottolineare come siano più in basso nella scala gerarchica.
Un altro esempio è una placca in avorio facente parte di un dittico imperiale raffigurante l’imperatrice Arianna, consorte di Anastasio I, sebbene in questo caso il lato decorativo prevalga su quello della rappresentazione naturalistica: la massima attenzione non va alla plasticità della posa o alla realistica raffigurazione del volto ma alla resa della ricchezza della nicchia in cui è inserita Arianna, alla sontuosità della veste e dei simboli del potere: lo scettro ed il globo tra le mani dell’imperatrice, attributi del potere che ben presto appariranno anche in Occidente.
Specie dopo la crisi iconoclastica tra l’Ottavo ed il Nono secolo l’arte bizantina tenderà a codificarsi in una serie di modelli fissi ed in un generale abbandono del naturalismo in favore della rappresentazione delle cose come simboli. E’ un processo che riguarda principalmente le icone, ma che si puo’ intravedere anche in altri ambiti: in questo affresco con Costantino e la madre Elena c’è ancora una certa perizia nel rappresentare i volti, ma i corpi hanno ormai perso plasticità, sono le vesti ingioiellate a dare loro consistenza più che il chiaroscuro. Proprio a causa del perdurare nel tempo di modelli fissi la datazione è complessa, per tale opera si oscilla dall’XI al XIII secolo.
Questi sono i modelli di rappresentazione della sovranità che si presentavano ai regni d’Occidente, tuttavia essi verranno rielaborati in forme originali solo con l’affermarsi del potere dei Franchi, ed in particolare della dinastica Merovingia e Carolingia, ovvero con la definizione di un potere sovrano, e poi imperiale, che voleva rapportarsi con l’Oriente da pari a pari.
Pipino III, detto “Il breve”, ricevette l’incoronazione regala da papa Zaccaria, sebbene egli non possedesse realmente il potere di conferire un tale status giuridico.
Nelle monete del suo regno egli era definito “imperator”, tale titolo non significa “imperatore”, ma era usato come sinonimo di “re” o più probabilmente “comandante”, a sottolineare come il suo carisma fosse principalmente di tipo militare. A sottolineare la sua alleanza con la chiesa di Roma sopra il suo profilo viene impressa la croce.
Ma la vera incoronazione imperiale sarà quella di Carlo Magno nell’800, sebbene egli non possa vantare la stessa sacralità dell’Imperatore d’Oriente: anche nelle miniature dell’epoca viene sottolineato come la sua legittimazione venga dal “papa” romano, tramite necessario tra lui e Dio, raffigurando Carlo Magno inginocchiato oppure intento a pregare mentre Leone III pone la corona sul suo capo.
Nelle monete del periodo l’immagine del sovrano è meno pia, egli infatti viene rappresentato come un imperatore romano.
La stessa iconografia imperiale si ritrova nelle monete del figlio Ludovico il Pio, sebbene accompagnate da immagini di basiliche e croci.
Ma è con il regno di Carlo il Calvo (823-877) che nella rappresentazione del potere si impongono in maniera evidente stili e simboli ricavati da modelli orientali.
In questa miniatura il carisma sacro dell’Imperatore d’Occidente è sottolineato con decisione: il sovrano riceve la corona direttamente da Dio, rappresentato come una mano che cala dal cielo, sebbene sotto la supervisione di due figure benedicenti, probabilmente dei santi. Tutte le figure hanno l’aureola, ad ulteriore conferma della nuova aura di sacralità che ora anche i regnanti occidentali possiedono.
Si ritrova la medesima simbologia in una miniature de “Il Salterio di Carlo il Calvo”, sebbene in questo caso l’accento cada più sulla rappresentazione del potere regale che non della santità di esso. Il sovrano è rappresentato da solo, assiso sul trono mentre la “mano divina” lo incorona dall’alto.
Il largo uso dell’oro e di simboli del potere come lo scettro ed il globo con la croce richiamano alla memoria mosaici e affreschi bizantini di qualche secolo prima. Anche lo spazio architettonico in cui Carlo il Calvo è inserito, in particolare i drappi avvolti attorno alle colonne a guisa di sipario, ricordano da vicino le nicchie in cui venivano rappresentati gli imperatori orientali (vedi Immagine 3).
Durante l’età ottoniana questi caratteri si fissarono, diventando il prototipo di come rappresentare il potere sovrano.
Nella miniatura con Ottone II omaggiato dalle province imperiali si ha la somma degli influssi orientali sull’arte e sulla raffigurazione del potere in Occidente: le figure sono piatte, con contorni ben definiti e poste a “fascia” su uno sfondo omogeneo, volutamente sproporzionate per sottolineare l’importanza dell’imperatore. Tutti caratteri già osservati nei mosaici a Ravenna. A ciò si puo’ aggiungere l’uso dell’oro e la preziosità della veste.
La stessa immagine imperiale, come si è già notato, è erede della tradizionale iconografia dei sovrani bizantini.
L’immagine che meglio riassume il percorso compiuto è una miniatura dell’Evangeliario di Ottone III del primo IX secolo: l’imperatore, la cui iconografia ormai è fissata, è seduto sul trono reggendo i consueti simboli del potere. A destra dei nobili armati, simbolo del ruolo di comandante militare del sovrano, e sulla sinistra dei prelati con i libri sacri tra le braccia: i due aspetti, sacro e profano, del potere imperiale sono così riassunti.