Il 10 ottobre del 1398, Pantaleone, un “raffinatore di metalli” residente nella parrocchia di Santa Fosca di Venezia, pensò fosse venuto il momento di redigere il proprio testamento con l’aiuto del notaio Bernardo de Rodulfis.
Era un uomo molto ricco; l’ammontare delle sue proprietà superavano, secondo quanto venne redatto nel testamento, i 6.000 ducati, dei quali almeno 4.300 erano in oro.
Pantalone possedeva la casa entro cui viveva; al suo servizio erano stati dichiarati
almeno due schiavi; gli esecutori testamentari erano degli orefici; tra i legati del suo
testamento troviamo un lascito di 50 ducati destinati alla vedova e ai figli del cambiavalute Andrea Mora, che immaginiamo aver avuto, come gli esecutori testamentari, una parte importante nella vita di Pantaleone.
Oltre alla moglie Catarucia, Pantaleone non aveva altri parenti in vita. A Catarucia
vennero destinati 1.000 ducati in titoli del debito pubblico di Venezia gestiti dalla
“Camera degli Imprestiti” per il suo sostentamento; Catarucia avrebbe potuto vivere in un appartamento, completamente arredato, ricavato nella casa di proprietà di Pantalone; inoltre, se non ci fossero state lagnanze, Catarucia avrebbe avuto anche altri 500 ducati su cui avrebbe potuto disporre come meglio credeva; nel caso contrario avrebbe ricevuto l’importo della sua dote (100 ducati) e la somma aggiuntiva di altri 100 ducati; e nulla più.
Pantaleone dispose poi un lascito per la figlioccia Francesca, monaca; e chiese che la sua tomba fosse predisposta presso la Madonna dell’Orto dicendo che la sigillassero perché non aveva più parenti a cui pensare.
Molti furono, allora, i legati destinati alle istituzioni pie e alle confraternite, ma ciò che oggi fa più pensare è la sensibilità con cui quel “raffinatore di metalli”, ben inserito nell’élite veneziana, chiuse il suo testamento destinando alla propria città ben altri 500 ducati d’oro in titoli della “Camera degli Imprestiti”, che sarebbero stati impiegati dalla Repubblica per la riparazione delle fortificazioni del Lido, nell’ovvia speranza che i lasciti e i legati destinati alle opere pubbliche potessero non solo fornirgli meriti importanti per la salvezza della sua anima, ma anche una protezione alla sua Venezia.
Decise infine di chiudere la redazione del suo testamento invocando Dio “di conservare la città per sempre”
Testamento pubblicato in: Bernardo de Rodulfis notaio in Venezia (1392-1399), a cura
di G. Tamba, Venezia 1974, doc. 378.
Marialuisa Bottazzi