In vista della Giornata CERM del 5 maggio 2019, dedicata al Patriarcato di Aquileia, pubblichiamo un articolo di Paolo Cammarosano che introduce all’argomento.
L’anno prossimo si potrà celebrare il sesto centenario dell’ingresso del Patriarcato di Aquileia nel dominio della Repubblica di Venezia. E quando fra l’estate e l’autunno del 1420 si ebbe quell’evento, e con esso la fine dell’indipendenza politica del Patriarcato, esso aveva alle spalle una vicenda millenaria. Una vicenda religiosa, inizialmente, inaugurata almeno dal V secolo e approdata nel 1077 alla formalizzazione di uno stato, che fu il più vasto principato ecclesiastico dell’Europa medievale.
Entro il III secolo avanti Cristo lo stato romano aveva acquisito la gran parte dell’Italia settentrionale, e nell’anno 181 avanti Cristo venne fondata la colonia di diritto latino di Aquileia, assurta a municipio un secolo dopo e insignita della cittadinanza romana. La colonizzazione romana si sovrappose senza cancellarle a civiltà precedenti, talora di altissimo livello culturale, come erano le popolazioni celtiche e venetiche del settentrione. Organizzò nei territori agricoli uno schema ordinato di distribuzione delle proprietà (la centuriazione), una eccellente rete viaria e diffuse produzioni di manufatti e un saldo impianto commerciale, che ebbe un punto di forza in Aquileia e nel suo grande porto.
Già verso la fine del II secolo la città era stata investita dall’espansione militare di una popolazione germanica, i Quadi. Circa un secolo dopo si ebbero le pressioni di una più vasta compagine anch’essa germanica, i Goti, e correlato ad esse il veloce ma devastante impatto di un popolo delle steppe, gli Unni, il cui grande re Attila avrebbe assediato ed espugnato la città nel 452.
Ma nel frattempo Aquileia aveva assunto una importanza eccezionale nel quadro della cristianizzazione dell’impero. Ricordo che nel 392 l’imperatore Teodosio, come è stato ricordato nella precedente giornata Cerm da Marialuisa Bottazzi, emanò un decreto generale di interdizione dei culti pagani. Procedette nei secoli IV e V l’organizzazione territoriale delle chiese cristiane, che aveva il suo elemento essenziale nell’episcopato, istituzione che a sua volta si modellava sull’assetto amministrativo dell’impero romano, dunque sulle città. Nella città era la chiesa cattedrale e attorno alla città, dominando su un territorio extraurbano più e meno ampio, era la circoscrizione detta diocesi. Le diocesi erano raggruppate in formazioni più ampie, dette province. A capo della provincia era una sede vescovile detta arcidiocesi o metropoli. Anche nello stabilire questa gerarchia si seguì la strutturazione romana: nell’Italia centrale e settentrionale le metropoli furono istituite nelle quattro città che avevano avuto la maggiore importanza in età imperiale: Roma ovviamente, quindi Milano, Ravenna e Aquileia.
Tale era il ruolo di Aquileia almeno dal IV secolo. Nel 381, cioè ancor prima dell’editto di Teodosio, era stata sede di un concilio, e mantenne il suo ruolo di vertice nell’ordinamento ecclesiastico anche quando subì una grave decadenza dal punto di vista demografico, urbanistico ed economico. La decadenza urbana di Aquileia fu dovuta al generale dissesto economico e sociale del tardo impero, ma in maniera particolare al fatto di essere continuamente al centro di guerre e spostamenti di eserciti e di popolazioni.
Nonostante queste vicende drammatiche Aquileia mantenne il proprio ruolo di metropoli. L’insieme delle diocesi delle quali era a capo configurava una provincia ecclesiastica immensa, praticamente tutto il Veneto, Trieste, l’Istria e i territori della Carinzia e della Slovenia, fino ai bacini del Gail e della Sava, ed anche una propaggine lombarda (la diocesi di Como). Uno sguardo alla carta dell’insediamento ecclesiastico, basata su fonti della fine del secolo XIII e degli inizi del secolo XIV, basta a mostrare l’enorme differenza della densità insediativa in questi territori: un cospicuo tessuto di città e cittadine ed altri agglomerati umani nella parte occidentale della diocesi aquileiese, immensi spazi vuoti di insediamenti nella parte settentrionale e orientale.
Nel corso del VI secolo il ruolo di Aquileia come sede vescovile e metropolitana fu molto potenziato, in parte per il generale incremento del ruolo politico e amministrativo dei vescovi, sancito dalla legislazione dell’imperatore Giustiniano, in parte in seguito a uno scisma che fu conseguenza della politica religiosa dello stesso Giustiniano, nel corso del quale i metropolitani di Aquileia furono a lungo solidali con quelli di Milano e contrapposti alle autorità imperiali di Bisanzio ma anche alla Chiesa di Roma. Fu in questo contesto che i vescovi di Aquileia, già eminenti per il titolo di metropolitani, si autoattribuirono quello di patriarchi; era una supremazia puramente onorifica e di prestigio, fondata sul mito di una fondazione apostolica ad opera di San Marco.
In questa situazione di tensione religiosa e politica si inserì un fatto drammatico: l’invasione e la conquista longobarda di gran parte d’Italia, della quale abbiamo parlato qui lo scorso 7 aprile. L’esercito longobardo conquistò quasi tutto il nord dell’Italia, Cividale del Friuli fu la prima sede di insediamento di un duca longobardo, e il ducato del Friuli divenne da subito una delle formazioni principali del regno longobardo d’Italia che aveva la sua capitale a Pavia. Spaventato dall’invasione di un popolo che aveva fama di grande ferocia, il patriarca mise in salvo il tesoro della Chiesa aquileiese e fuggì nell’isola di Grado. Grado fu per qualche anno la sede patriarchina, e nel 579 si celebrò nella splendida basilica di Sant’Eufemia un concilio che confermò l’opposizione religiosa a Roma e a Bisanzio.
Pochi anni più tardi si cristallizzò una divisione tra la sede aquileiese e la gradese. Un patriarca riprese sede ad Aquileia, realizzando che i Longobardi non solo non avrebbero recato molestie ma avrebbero potuto offrire un appoggio contro Roma e contro Bisanzio. Un altro presule si fece consacrare a Grado e inaugurò una serie di patriarchi contrapposti ad Aquileia e protetti dalle autorità bizantine. Lo sdoppiamento della sede sarebbe rimasto stabile, anche dopo che fu risolta (alla fine del secolo VII) la questione dottrinale che aveva dato luogo allo scisma, e per cinque secoli ciascuno dei due patriarchi, di Aquileia e di Grado, avrebbe contestato all’altro il titolo e conseguentemente l’autorità religiosa sulle diocesi del Veneto e dell’Istria. Si realizzò presto una spartizione di fatto, che vide l’autorità gradese su gran parte delle diocesi istriane e della laguna veneta e quella aquileiese sulla parte interna, e maggioritaria, della provincia ecclesiastica.
Con l’avvento carolingio nel 774 la Chiesa aquileiese ricevette uno slancio ulteriore. Carlo Magno volle affermare, con un diploma destinato al patriarca Paolino nel 792, l’autonomia della Chiesa di Aquileia da ogni potere laico. Anticipando un’evoluzione che per altre sedi sarebbe stata cosa del secolo XI, Carlo decretò che l’elezione del vescovo di Aquileia fosse circoscritta al capitolo della cattedrale. Sottolineò inoltre la necessaria aderenza, fedeltà del presule al re. Nei secoli seguenti si affermò come normale l’intervento del re o dell’imperatore nelle nomine del patriarca.
Dalla crisi dell’impero carolingio fra l’887 e l’888, dalle invasioni degli Ungari nell’Italia nord-orientale alla fine del IX secolo e dalla sofferta affermazione della dinastia sassone degli Ottoni i patriarchi di Aquileia emersero alla fine con nuove risorse di prestigio e potere. Gli Ottoni cercarono infatti nelle sedi metropolitane i principali mediatori fra il vertice imperiale e i sudditi. Un altro passaggio decisivo si ebbe nella prima metà del secolo XI, con il lungo patriarcato di Poppone (1019-1042), un presule appartenente ad una dinastia aristocratica germanica, come lo sarebbero stati ancora a lungo i patriarchi, dato il loro stretto legame con gli imperatori tedeschi e le loro corti. Poppone fu un patriarca guerriero, si impegnò in modi anche violenti in tentativi di recupero di Grado, promosse nel territorio aquileiese un importante monastero (Santa Maria di Aquileia), ma è sopratutto noto per il grandioso restauro dell’edificio ecclesiastico. Nel catino della basilica si vede raffigurato in atteggiamento devoto l’imperatore Corrado II, al quale Poppone fu particolarmente fedele, approfittando anche, pur senza intenzione, dello sfavore in cui era caduto presso l’imperatore il metropolitano di Milano
E così quando, alla metà del secolo XI, si incrinò la solidarietà fra la Chiesa di Roma e l’Impero, e negli anni Settanta si accese il conflitto che vide contrapposti il papa Gregorio VII e l’imperatore Enrico IV, il patriarca allora in carica, Sicardo, manifestò il suo lealismo imperiale. Ne ricevette in ricompensa, nell’aprile del 1077, la concessione dei poteri temporali sulla contea del Friuli, ed anche sulla marca d’Istria e sulla Carniola.
In prosieguo di tempo sarebbe stato il Friuli l’ambito territoriale più saldo e sicuro del dominio ecclesiastico-politico aquileiese. Gli imperatori vollero istituire dei raccordi fra le regioni politiche sulle quali cercavano di fondare il loro controllo dell’area alpina orientale. Il raccordo destinato ad essere il più duraturo fu quello che si fondò sulla creazione di una contea laica attorno a Gorizia e quindi sull’attribuzione ai conti di Gorizia dell’ufficio di avvocati, cioè rappresentanti laici in giudizio, della Chiesa aquileiese. Il ruolo di avvocazia dei conti di Gorizia si sviluppò ampiamente nel secondo decennio del secolo XII, con il conte Mainardo, ma presto i Goriziani si posero come signori territoriali autonomi, sovente rivali ed antagonisti dei patriarchi aquileiesi.
Oltre alla tendenziale ostilità dei conti di Gorizia, dei quali parleremo in una giornata Cerm nel prossimo ottobre, un momento di debolezza dell’autorità politica patriarchina fu la crescente presenza veneziana in Istria, da cui derivava anche la possibilità da parte dei papi di erodere la sovranità ecclesiastica aquileiese giocando sull’antica contrapposizione tra Aquileia e Grado, quest’ultima oramai cosa dei Veneziani.