In occasione dell’edizione del libro di Michele Zacchigna, “Notai, cancellieri e ceto politico nel’Italia nord-orientale fra Due e Quattrocento” (Studi 15), ci è grato pubblicare queste pagine scritte dal nostro socio e amico Alfio Cortonesi.
Alfio Cortonesi
Un ricordo di Michele
Michele Zacchigna era nato a Umago d’Istria il 5 gennaio del 1953 e prematuramente ci ha lasciati, in fatale circostanza, il 4 gennaio del 2008. Laureatosi nel 1977-1978 presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Trieste, dopo molti anni di insegnamento nelle scuole secondarie superiori divenne nel 2000 ricercatore universitario di Storia medievale presso la Facoltà in cui si era laureato. Resta di lui, sul piano professionale, la bella testimonianza di un’intensa operosità scientifica e didattica dalla quale è scaturito un importante contributo alla storia del Friuli medievale e, più generalmente, data la valenza metodologica e l’originalità tematica delle sue ricerche, dell’Italia nell’età di mezzo.
Un approccio penetrante alla dimensione archivistica della ricerca, una non comune capacità di lettura delle fonti, l’attenzione indirizzata all’universo documentario nella varietà delle sue componenti, sono fra le caratteristiche principali degli scritti di Michele, sempre accompagnati (e illuminati) da una sensibilità particolare per i fatti, anche minimi (ma non per questo irrilevanti), della storia e per la loro corretta ricostruzione e interpretazione.
I percorsi d’indagine che Michele traccia e approfondisce con il suo lavoro sono molteplici e interessano aspetti diversi della storia di un ambito regionale dalle variegate e mutevoli connotazioni. Gli esordi della sua produzione storiografica, che datano ai primi anni ’80, sono marcatamente segnati dall’attenzione per la storia delle campagne, un’attenzione che egli manterrà con evidente profitto nel corso di tutta la sua vicenda di storico[1], pur affiancandola via via brillantemente ad altri itinerari di ricerca. Non credo sia stata estranea a Michele, specialmente nella fase delle scelte iniziali – oltre che, in tutta evidenza, l’insegnamento e lo stimolo del suo maestro, Paolo Cammarosano – la temperie storiografica che in quegli anni ebbe ad indirizzare un buon numero di giovani medievisti verso la storia agraria e del mondo rurale: un aspetto importante della storiografia italiana del secolo scorso sul quale non si è mancato, anche in tempi piuttosto recenti, di riflettere[2]. I primi passi da lui mossi in questa direzione furono legati all’interessante documentazione relativa al patrimonio fondiario della famiglia udinese dei Savorgnan (già oggetto della sua tesi di laurea); in seguito, alla metà degli anni ’80, Michele, precipuamente occupandosi nell’occasione di insediamenti e paesaggi, fu tra i giovani ricercatori che, diretti e coordinati da Cammarosano, si cimentarono nella stesura del volume Le campagne friulane nel tardo Medioevo, ancor oggi un contributo cardine per la storia agraria del Friuli medievale[3]. In esso, l’accurato utilizzo dei rotuli, testimonianza preziosa dell’amministrazione dei maggiori patrimoni fondiari laici ed ecclesiastici, segnala “con evidenza sia il persistere di sistemi di coltura fondati sul binomio manso-villaggio, sia il peso della dimensione consuetudinaria – locazioni a titolo perpetuo e censi in natura cristallizzati dalla tradizione -, nella cornice di una agricoltura penalizzata dalla povertà dei suoli e dal carattere instabile del regime idrico”[4].
Alla fine dello stesso decennio si deve alla curatela di Zacchigna edi Alida Londero, la pubblicazione di Mobilia et stabilia. Economia e civiltà materiale a Gemona nel ’400[5], un piccolo volume il cui significato va oltre l’apporto di conoscenze che pure ne origina[6], esprimendo al meglio la proficua convergenza fra impegno didattico e scientifico che negli anni in oggetto viene a realizzarsi nella vita di Michele, docente presso il liceo scientifico ‘Luigi Magrini’ di Gemona del Friuli e al tempo stesso appassionato cultore, come si è visto, della storia medievale friulana. In Mobilia et stabilia alcuni inventari di beni tre-quattrocenteschi di provenienza gemonese sono affidati alla lettura, alla trascrizione e al commento di un gruppo di studenti che, assistiti dai loro professori, sperimentano l’emozione della scoperta di pagine in buona parte sconosciute della storia della loro comunità e della sua quotidianità modesta e laboriosa. Piace richiamare come, nella presentazione del libro, Zacchigna osservi, con una finezza (e un’umiltà) che certo non sorprendono chi l’abbia conosciuto, sembrargli il volume “più il frutto di una naturale e inaspettata convergenza di disponibilità umane e culturali che non il risultato di una consapevole progettazione”[7].Vi fu senz’altro dell’una e dell’altro, ed è certo che il risultato non deluse sotto alcun profilo le aspettative.
Si tratterà di attendere qualche anno ancora per trovarsi dinanzi alla prima monografia (1996) data alle stampe da Michele e dedicata a Sistemi d’acqua e mulini in Friuli fra i secoli XIV e XV[8]: in tale contributo, frutto pur esso di un attento e complesso lavoro, l’interesse per questa “microstruttura” largamente diffusa in ambito friulano spinge l’A. su sentieri d’indagine rurali ed urbani, evidenziandone, fra l’altro, la propensione all’approfondimento di aspetti inerenti alla storia delle tecniche e della cultura materiale, propensione accompagnata (in questa sede come in altre) da una puntuale considerazione dei risvolti economico-sociali, quali, nel caso specifico, la gestione della proprietà degli impianti molitori, il ruolo dei mugnai nel contesto comunitativo, quello del mulino come veicolo dell’affermazione signorile e del controllo sociale.
La partecipazione – l’anno successivo (1997)- al congresso montalcinese su Medievistica italiana e storia agraria, impegna Zacchigna in un’approfondita riflessione sugli studi inerenti al mondo rurale veneto e friulano[9], riflessione che opportunamente muove dal constatare per tali ambiti la “natura difforme delle strutture di dominio politico” (e la corrispondente “diversa fisionomia delle risultanze documentarie”), altresì rilevando come “alle terre patriarchine (Udine, Cividale, Gemona), condizionate di fatto da un rilievo demico contenuto e dal carattere sfumato e dimesso dei gruppi artigiano-mercantili residenti” siano venuti a mancare gli strumenti per la costruzione di un vero e proprio contado, donde “l’azione complessivamente debole dei nuclei urbani sull’assetto produttivo delle campagne … e sulla fisionomia delle locazioni, largamente inscritte, ancora verso l’ultimo ’300, nelle maglie del fitto perpetuo”[10].
Si accennava già sopra come l’indagine delle campagne e del mondo contadino si affiancasse in Michele, fin dagli inizi, ad altri molteplici interessi che investivano la storia istituzionale, politica e sociale di castelli e città friulane e giuliane (da Udine a Trieste, oggetto di attenzione più insistita, da Cividale a Gemona a Pordenone, alle comunità castellane di Pinzano, Tarcento etc.) e si estendesse a settori dell’economia non necessariamente connessi in via diretta alla pratica agricola (artigianato, commerci, lavoro salariato etc.). Senza dimenticare come un più vasto orizzonte politico e territoriale Zacchigna attingesse a più riprese con ricerche e riflessioni legate alle vicende del Patriarcato di Aquileia e all’insieme delle terre friulane, di volta in volta assumendo particolari prospettive tematiche. Nel quadro di queste indagini, individui e singole famiglie appartenenti ai diversi ceti sociali (l’aristocratico, il mercantile, l’artigiano, il contadino, quello delle professioni) avevano il ruolo di protagonisti, come nel caso degli udinesi Savorgnan, dei di Castello di Tarcento[11], del notaio Quirino di Odorico cui Michele dedica un’importante monografia (recentemente riproposta insieme a due saggi brevi[12]) dal titolo Le memorie di un notaio udinese al tramonto dello stato patriarchino: Quirino di Odorico cerdone detto Merlico (1413-1426)[13]. Quirino è un notaio di modesto livello sociale, esponente di un “notariato debolmente idoneo a un incremento di ricchezza fondato sulla professione, e orientato a investire il risparmio non in attività di tipo mercantile e di elevati rischi e profitti, bensì in qualche acquisto fondiario e in piccole operazioni speculative in ambiente rurale”[14]. La ‘territorialità’ dell’impegno notarile emerge, in queste pagine, sia per quanto di più stretto riferimento all’attività professionale sia, più generalmente, per ciò che concerne la variegata dimensione dell’agire economico e sociale: e il territorio è tanto quello cittadino quanto e più – come viene sottolineato – quello rurale, con i contratti di prestito ai contadini, le locazioni fondiarie per lo più di timbro consuetudinario, l’incremento e la cura di un patrimonio familiare policentrico. Presentando la nuova edizione del saggio,Cammarosano rileva, con buona ragione, che “nel panorama degli studi di storia del notariato medievale questo lavoro primeggia per ricchezza di informazione sulla pratica notarile, per ricchezza di spunti di ricerca e per l’esemplarità del metodo”[15].
Questa rapida (e inadeguata) incursione nell’opera scientifica di Michele Zacchigna potrebbe chiudersi qui, se non avvertissi come indispensabile – per quanto esso attenga ad altra sfera della sua attività scrittoria e di riflessione – la segnalazione di un breve scritto apparso postumo con il titolo “Piccolo elogio della non appartenenza. Una storia istriana”[16]: un testo autobiografico che (mantenendo sullo sfondo la Trieste “radiosa di bora, di freddo e di mare” dell’adolescenza e della maturità di Michele) esalta l’estro narrativo dell’autore, il suo gusto leggero e, ad un tempo, profondo della vita, e che ad ogni rilettura – confesso-riesce a ‘prendermi’ ed emozionarmi come la prima volta che ebbi a scorrerne le pagine. Per quanto possa apparire strano, averlo stabilmente in memoria produce in me l’effetto di rendere ancor più godibile il contatto ricorrente con la produzione scientifica dell’indimenticabile amico.
[1] Fra le sue ultime pubblicazioni l’interessante saggio Viticoltura e vinificazione in Friuli nel basso Medioevo, in “Bullettino storico italiano per il Medio Evo”, 109/2 (2007), numero monografico su “Tecniche agricole medievali”, pp. 217-234: un contributo nel quale l’A.valorizza con novità di accenti una documentazione non particolarmente ricca ma senz’altro originale.
[2]Cfr. Medievistica italiana e storia agraria. Risultati e prospettive di una stagione storiografica. Atti del convegno di Montalcino, 12-14 dicembre 1997, a cura di A. Cortonesi e M. Montanari, Bologna 2001; D. Balestracci, Medioevo italiano e medievistica.Note didattiche sulle attuali tendenze della storiografia, Roma1996, pp. 73-93; anche: A. Cortonesi, S. Passigli, Agricoltura e allevamento nell’Italia medievale. Contributo bibliografico, 1950-2010, Firenze2016 (Reti Medievali E.Book 26), pp. 3-27 (Introduzione di A. Cortonesi).
[3]Le campagne friulane nel tardo Medioevo. Un’analisi dei registri di censi dei grandi proprietari fondiari, a cura di P. Cammarosano, Udine1985.Può anche ricordarsi come l’anno precedente Zacchigna avesse pubblicato il saggio L’espansione fondiaria (secoli XIII-XIV). Aspetti dell’economia agricola friulana fra i secoli XIVe XV, in I Savorgnan e la Patria del Friuli dal XIII al XVIII secolo, Udine 1984, pp. 97-110.
[4]Le campagne friulane, cit., p. 119.
[5] Il volume fu stampato a Udine nel 1989.
[6]Tale apporto interessa aspetti diversi della vita di Gemona e delle sue campagne; ci limitiamo qui a ricordare l’amministrazione finanziaria del comune, l’assetto dei paesaggi, l’attrezzatura agricola, i rapporti di lavoro.
[7]Mobilia et stabilia, cit., p. 8.
[8] M. Zacchigna, Sistemi d’acqua e mulini in Friuli fra i secoli XIV e XV. Contributo alla storia dell’economia friulana nel Bassomedioevo, Venezia1996.
[9] Id., Area veneta e friulana, in Medievistica italiana e storia agraria, cit., pp. 117-127.
[10] Ivi, p. 117.
[11]La società castellana nella Patria del Friuli: ildominiumdei di Castello (1322-1532), CERM, Trieste 2007 (Studi 01).Si veda anche l’interessante saggio scritto da Zacchigna in collaborazione con Massimo Sbarbaro dal titolo Propterguerram. L’economia di una famiglia udinese nelle vicende del primo ’400: i Cataldini de Fiorenza, in “Studi medievali”, 3a ser., XLVI/2 (2005), pp. 607-646, 15 tavv. f.t.
[12]La nuova edizione è parte del seguente volume: M. Zacchigna, Notai, cancellieri e ceto politico nell’Italia nord-orientale fra Due e Quattrocento, CERM, Trieste 2017 (Studi 15), pp. 21-156. Gli altri due saggi ivi riproposti sono: I cancellieri del Comune di Trieste, pp. 157-165 (già pubblicato in D. Bloise, G. Brischi, A. Conti, L. Pillon, M. Zacchigna, Le magistrature cittadine di Trieste nel secolo XIV. Guida e inventario delle fonti, Roma 1982, alle pp. 13-20) e Notariato, cancelleria e “ceto politico” a Trieste (1250-1335), pp. 167-188 (già in Medioevo a Trieste. Istituzioni, arte, società nel Trecento. Atti del Convegno, Trieste 22-24 novembre 2007, a cura di P. Cammarosano, Roma 2009, pp. 175-192, postumo). Come scrive nella Presentazionedel succitato volume Paolo Cammarosano, l’iniziativa “non è solo una testimonianza di reverente memoria e di affetto, ma della volontà di far conoscere un contributo importante alla storia delle scritture istituzionali del tardo medioevo e dei loro protagonisti principali, i notai e i cancellieri” (p. 9).
[13]Bagnaria Arsa 2003.
[14] P. Cammarosano, Introduzione in M. Zacchigna, Notai, cancellieri, cit., p. 14.
[15]Ivi, p. 12. L’analisi di Zacchigna è incentrata “non sull’intero corpus delle imbreviature di Quirino, ma su quel segmento di esse che il notaio organizzò in due quaderni di notae o memoriae [1409-1417; 1417-1426], cioè una sorta di diario, una specie di libro di famiglia, imperniato soprattutto sulle notizie di interesse economico familiare e aperto occasionalmente al ricordo di eventi di natura politica o di curiosa accaduti in Udine…” (ivi, p. 13).
[16]Il Piccolo elogio è stato pubblicato nel 2008 in edizione fuori commercio presso Il Ramo d’Oro Editore in Trieste e riedito nel 2013 per la Nonostante Edizioni di Trieste, con una postfazione di Paolo Cammarosano.